CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 novembre 2014, n. 25255
Previdenza - Indennità di accompagnamento - Inabile al lavoro - Inabile in
grado di deambulare
1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
(Con sentenza n. 560/2011, depositata in data 28 febbraio 2011, la Corte di
appello di Bari, pronunciando sull’impugnazione proposta da D.G. nei confronti
dell’I.N.P.S., del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Regione
Puglia, disposto il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio, confermava la
decisione del Tribunale della stessa
sede che aveva escluso il diritto del D.G.
all’indennità di accompagnamento. Riteneva la Corte territoriale che
l’appellante, ancorché inabile al lavoro, fosse in grado di deambulare e di
compiere gli atti quotidiani della vita.
Avverso tale sentenza D.G. ricorre per cassazione con due motivi.
L’I.N.P.S. ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso.
Sono rimasti solo intimati il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la
Regione Puglia.
Con i due motivi il ricorrente
denuncia: "Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n.
18/1980, dell’art. 1 della legge n. 508/1988 e dell’art. 115 cod. proc. civ.
(art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)" nonché "Omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)".
Lamenta che il giudice di merito abbia ritenuto insussistenti i presupposti
per la concessione della prestazione reclamata considerando il G.
autosufficiente in relazione al compimento degli atti quotidiani della vita,
senza considerare che gli stessi test
IADL cui il consulente tecnico officiato dalla Corte territoriale aveva
fatto riferimento avevano evidenziato che il
predetto necessitava di "essere accompagnato per qualsiasi acquisto nei
negozi", di "avere preparati i cibi e serviti", oltre che
"di aiuto per ogni operazione di governo della casa" e che il
medesimo consulente aveva sottolineato che il periziato, presentante un quadro
clinico caratterizzato da "un rendimento mentale quasi del tutto
compromesso per la marcata incapacità di memorizzare e stare attento, ovvero da
una ipovalidismo psichico, con manifestazione classiche della
oligofrenia", era dal punto di vista comportamentale, "inibito e
passivo, nonché incapace di elaborare correttamente gli stimoli ambientali
esterni".
Il motivo è manifestamente fondato.
Va osservato, in termini generali, che l’indennità di accompagnamento è una
prestazione del tutto peculiare in cui l’intervento assistenziale non è
indirizzato - come avviene per la pensione di inabilità - al sostentamento dei
soggetti minorati nelle loro capacità di lavoro (tanto è vero che l’indennità
può essere concessa anche a minori degli anni diciotto e a soggetti che, pur
non essendo in grado di deambulare senza l’aiuto di un terzo, svolgano tuttavia
un’attività lavorativa al di fuori del proprio domicilio), ma è rivolto
principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiare a farsi carico
dei suddetti soggetti, evitando così il ricovero in istituti di cura e
assistenza, con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale (cfr.
Cass. 28 agosto 2000, n. 11295; id. 21 gennaio 2005, n. 1268; 23 dicembre 2011,
n. 28705).
Va, poi, specificato che il diritto all’indennità
di accompagnamento spetta sia nel caso in cui il bisogno dell’aiuto di un terzo
si manifesti per incapacità di ordine fisico, sia per malattie di carattere
psichico.
Quanto alle incapacità di ordine materiale questa Corte ha precisato che
la nozione di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del
vivere quotidiano con carattere continuo comprende anche le ipotesi in cui la
necessità di far ricorso all’aiuto di terzi si manifesta nel corso della
giornata ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività
della vita quotidiana per la quale non può fare a meno dell’aiuto di terzi, per
cui si alternano momenti di attesa, qualificabili come di assistenza passiva, a
momenti di assistenza attiva (così Cass. 11 aprile 2003, n. 5784).
Quanto alle malattie
psichiche, questa Corte ha precisato che l’indennità di accompagnamento, va
riconosciuta, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1 della legge 11
febbraio 1980 n.18, anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente
capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi,
vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assumere con corretta posologia le
medicine prescritte) necessitano della presenza costante di un accompagnatore
in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o
volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze
intellettive, non sono in grado di determinarsi autonomamente al compimento di
tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria
salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri.
Va, al riguardo citata la giurisprudenza di questa Corte in
materia di psicopatie con incapacità di
integrarsi nel proprio contesto sociale. Così, ad esempio, è stato
riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento:
·
a persona, che per deficit organici e cerebrali
fin dalla nascita si presentava incapace di «stabilire autonomamente se, quando
e come» svolgere gli atti elementari della vita quotidiana, riferendosi
l’incapacità non solo agli atti fisiologici giornalieri «ma anche a quelli
direttamente strumentali, che l’uomo deve compiere normalmente nell’ambito
della società» (Cass. 7 marzo 2001, n. 3299);
·
a persona che, per infermità mentali, difettava
anche episodicamente di autocontrollo sì da rendersi pericoloso per sé e per
altri (Cass. 21 aprile 1993, n. 4664);
·
a persona
che, per un deficit mentale da sindrome psico-organica derivante da
microlesioni vascolari localizzate nella struttura cerebrale e destinate a
provocare nel tempo una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza
l’aiuto costante del prossimo (Cass. 22 gennaio 2002, n. 667);
·
a persona, che anche per un deterioramento delle
facoltà psichiche (in un quadro clinico presentante tra l’altro ictus ischemico
e diabete mellito), mostrava una «incapacità di tipo funzionale», di compiere
cioè «l’atto senza l’incombente pericolo di danno (per l’agente o per altri)»
(Cass. 27 marzo 2001 n. 4389);
·
a persona, che, affetta da oligofrenia di grado
elevato, con turbe caratteriali e comportamentali, era incapace di parlare se
non con monosillabi e di non riconoscere gli oggetti, versando così in una
situazione di bisogno di una continua assistenza non solo per l’incapacità materiale
dì compiere l’atto, ma anche «per la necessità di evitare danni a sé e ad
altri» (Cass. 8 aprile 2002, n. 5017). Si veda anche Cass. 23 dicembre 2011, n.
28705 con riguardo ad una diagnosi di «psicosi schizofrenica paranoidea
(demenza precoce)».
In un siffatto contesto ricostruttivo va, dunque, ritenuto che la capacità del
malato di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in
senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti
atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro
importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione
psico-fisica; e come ancora la capacità
richiesta per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non debba
parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle
loro ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile
l’incidenza sulla salute del malato nonché la salvaguardia della sua «dignità»
come persona (anche l’incapacità ad un solo genere di atti può, per la
rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilità del loro accadimento,
attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera:
cfr. per riferimenti sul punto: Cass. 11 settembre 2003, n. 13362).
Nel caso di specie la Corte di appello ha affermato che il G certamente inabile
al lavoro, non aveva diritto (anche) all’indennità di accompagnamento essendo
in grado di deambulare e di compiere gli atti quotidiani della vita. Sta di
fatto che la sentenza in questione, pur enunciando la malattia diagnosticata
dal c.t.u. ("oligofrenia di grado medio - grave in soggetto affetto da
cerebropatia"), e, dunque, pur nella chiara consapevolezza della
sussistenza di una infermità psichica, trascura del tutto di considerare alcuni
dati, puntualmente riportati in ricorso dall’odierno ricorrente, evidenzianti
le necessità del G. e le sue peculiarità comportamentali oltre che "un rendimento mentale quasi del tutto
compromesso".
In conseguenza la condivisione del giudizio finale
espresso dal consulente ("non sussistono le condizioni per un’assistenza
continua in ordine al compimento da parte del ricorrente degli atti quotidiani
della vita") - invero influenzato da una interpretazione del concetto di
autonomia riferito a "pazienti in sala rianimazione, pazienti guardati a
vista per rischio imminente di suicidio, pazienti affetti da fasi terminali di
malattie, anziani e non affetti da demenza grave" e, dunque, non del tutto
in linea con i principi affermati da questa Corte e sopra riportati - risulta
incoerente.
Gli evidenziati elementi imponevano al giudice innanzitutto di
attenersi alla giurisprudenza sopra citata, specificamente dedicata agli
effetti delle malattie psichiche sulla capacità di attendere agli atti del
vivere quotidiano, e di raccordare la sua statuizione di rigetto della domanda
ad un motivato esame delle condizioni reali del G. come descritte negli atti di
causa ed accertate dall’ausiliare, secondo le regole del sillogismo
giudiziario, che impongono di assumere per la decisione postulati verificati e
corrispondenti a regole di esperienza condivise.
Viceversa la sentenza
impugnata si è sottratta al compito fondamentale che le era commesso,
congetturando la capacità del ricorrente di compiere gli atti quotidiani della
vita in presenza di dati obiettivamente inconciliabili con una capacità
dell’assistito di comprendere autonomamente il significato, la portata e
l’importanza di tali atti e quando gli stessi debbano essere compiuti.
In conclusione, la sentenza impugnata è
da considerare affetta dai denunciati vizi di motivazione e, per tale ragione
se ne propone la cassazione, con rinvio della causa ad altro giudice di merito
per la rinnovazione dell’accertamento di fatto, il tutto con ordinanza, ai
sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.).
2 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e
conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili,
siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e
che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc.
civ. per la definizione camerale del processo.
3 - Conseguentemente, il ricorso va
accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio, anche per le spese del
presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari, in diversa
composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.